Calendari stellari

Dopo aver affrontato nel precedente articolo (https://www.iraccontidelcielo.com/2024/03/26/il-cielo-come-misura-del-tempo/) l’argomento dei più antichi calendari lunari e lunisolari, e aver visto come le prime civiltà sedentarie per mezzo dei loro calendari di pietra (ad esempio Stonehenge) studiassero i moti del Sole per stabilire la data e i momenti chiave del ciclo stagionale, ci dedicheremo in questo articolo ad un altro dei metodi che i popoli dell’antichità hanno utilizzato per definire il loro calendario: le stelle con le loro fasi e ciclicità. Parleremo perciò dell’affascinante argomento dei calendari stellari.

Le fasi delle stelle

Il metodo utilizzato dagli antichi per costruire i loro calendari stellari, grazie ai quali erano in grado di individuare i passaggi importanti del ciclo annuale-tropico, consisteva di solito nel prendere nota della comparsa nel cielo di alcune stelle ben visibili ed utili allo scopo. Per capire questo fenomeno è necessario ricordare che il Sole oscura, per così dire, con la sua luce quella di tutte le altre stelle che si trovano sopra l’orizzonte insieme ad esso. Dal punto di vista di un osservatore sulla terra il Sole però è dotato di due moti principali, ovvero compie nel cielo anche un altro fondamentale spostamento oltre all’arco che ogni giorno disegna sorgendo, culminando e tramontando. Si tratta del suo moto rispetto allo sfondo celeste delle stelle fisse, cioè il suo percorso attraverso le costellazioni zodiacali. Ciò fa sì che giorno dopo giorno la sua luce nasconda una porzione di firmamento leggermente diversa, procedendo con una rapidità tale per cui dopo circa 365 giorni torna a oscurare nuovamente la medesima parte di cielo. L’astronomia moderna naturalmente ci spiega che questo è l’effetto prospettico derivante dai due principali moti della Terra, quello di rotazione sul proprio asse e quello di rivoluzione attorno al Sole.

Tutto ciò in ogni caso dà luogo a dei fenomeni molto caratteristici, che non sfuggirono agli attentissimi e pazienti osservatori del cielo che ci hanno preceduto di diversi millenni. I più evidenti sono due, e coinvolgono tutte quelle stelle che ogni giorno sorgono e tramontano. Stiamo parlando della cosiddetta Levata elica e del Tramonto eliaco. Il primo caso si ha quando una stella “esce” dai raggi solari potendo così finalmente tornare mostrarsi al mattino dopo un periodo di invisibilità; il secondo fenomeno invece avviene quando una stella, subito dopo il tramonto del Sole, brilla per l’ultima volta prima di scomparire per un certo numero di giorni. In entrambi i casi la stella splende bassa sull’orizzonte (rispettivamente orientale e occidentale) e per pochi momenti, giusto il tempo di farsi riconoscere dall’occhio di un esperto osservatore.

Le altre stelle, quelle che essendo sufficientemente vicine ai poli rispetto ad una determinata latitudine geografica non tramontano mai (circumpolari) oppure non sorgono mai (anti-circumpolari), naturalmente non possono attraversare queste fasi.

Questo tipo di fenomeni luminosi, e ve ne sono anche altri, avvengono ciclicamente in giorni precisi dell’anno e possono quindi essere presi come sicuri riferimenti per stabilire la data e suddividere così il tempo. In realtà se prendessimo in esame un arco temporale sufficientemente lungo noteremmo che vi è anche qui uno spostamento lento ma costante (in avanti) sul calendario solare, che tuttavia rimane irrilevante sul breve e anche medio periodo.

Gli Egizi, Sirio e i Decani

I calendari stellari si possono trovare presso varie civiltà del passato, ma l’esempio più importante è sicuramente quello costituito dagli antichi Egizi. Qui l’anno veniva fatto cominciare al sorgere eliaco della stella Sirio/Sothis, che essi mettevano in relazione alla dea Iside. Ciò a quel tempo accadeva in corrispondenza del periodo durante il quale iniziavano a verificarsi le piene del Nilo, ovvero all’incirca al solstizio d’estate.

Sembra che gli Egizi avessero individuato inoltre una serie di altre stelle sufficientemente brillanti da poter essere utilizzate per la misurazione del tempo. Il loro sorgere a intervalli regolari durante la notte poteva scandire le ore notturne, mentre prendendo nota del giorno in cui compivano la loro levata eliaca sarebbe stato possibile suddividere in maniera regolare il corso dell’anno. Queste stelle, che erano 36 in tutto, pare sorgessero (eliache) a distanza di dieci giorni l’una dall’altra e furono denominate perciò Decani. Quello più importante era naturalmente Sopdet, cioè Sirio/Sothis.

Questi decani ebbero una storia successiva molto interessante in cui si intrecciarono con scritti ermetici e magici. Almeno a partire dal Rinascimento li ritroviamo poi nuovamente anche come suddivisione in tre parti uguali di ciascun segno zodiacale, e a ognuno di essi venivano attribuite specifiche nature planetarie e immagini simboliche… ma questa è un’altra storia.

Tornando ai calendari stellari e ai decani egizi, se escludiamo Sirio, le restanti 35 stelle non sono state in effetti ancora identificate. Questo fatto, unitamente al tipo di calendario civile che gli Egizi utilizzavano, può far sorgere qualche dubbio sulla reale natura di questi decani. Se gli Egizi avessero davvero seguito la comparsa di una serie di stelle per stabilire la suddivisione dell’anno non avrebbero dovuto esserci errori o sfasamento di date tra calendario civile e ciclo annuale naturale, cosa che invece si verificava. Del calendario egizio più antico sappiamo infatti che contava 360 giorni, ovvero 10 giorni per ognuno dei 36 decani. Già verso la metà del III millennio a.C. furono aggiunti però altri 5 giorni extra, probabilmente allo scopo di ridurre l’errore che portava la data del sorgere di Sirio a ritardare ogni anno. In questo modo lo sfasamento diveniva più accettabile (circa 6 ore ogni anno), tuttavia Sirio ritardava la sua levata pur sempre di un giorno ogni 4 anni.

Per qualche motivo non ancora chiarito non si volle introdurre un ulteriore giorno extra ogni 4 anni cosa che, perlomeno in epoca molto tarda (239 a.C.), fu effettivamente proposta e deliberata ma non messa in pratica. In conseguenza di ciò gli Egizi si trovarono a dover tener conto di un ulteriore ciclo della durata di 1461 anni. Questo era infatti il tempo necessario a che la levata eliaca di Sirio – e con essa tutti i momenti del calendario naturale – si spostasse attraverso i 365 giorni del calendario civile, ritornando a coincidere con l’inizio del primo mese.

Evidentemente c’è qualcosa che ci sfugge a proposito del calendario e della suddivisione del tempo presso gli Egizi, perché imprecisioni così grossolane non sono compatibili con ciò che sappiamo di questa civiltà. Stiamo parlando infatti di una cultura che fu in grado di realizzare opere ineguagliabili come le Piramidi della piana di Giza, allineate astronomicamente al sorgere del Sole equinoziale con una tolleranza di soli tre sessantesimi di grado – risultato inverosimile per edifici di quelle dimensioni persino al giorno d’oggi. Per non parlare dei precisi allineamenti stellari dei condotti d’aerazione della piramide di Cheope.

Le stelle dei Romani e dei Celti

Pur costituendo la testimonianza più eclatante, gli Egizi non furono naturalmente gli unici a mettere in relazione i cicli stellari con particolari momenti dell’anno. Anche dei Romani sappiamo che osservavano l’apparizione di alcune stelle che segnavano per loro i passaggi stagionali e davano l’avvio ad alcune operazioni agricole. Qui per esempio abbiamo che la levata di Capella, la brillante della costellazione dell’Auriga, indicava le piogge di maggio, mentre α Bootes, cioè Arturo, segnava l’arrivo dell’autunno. Per la vendemmia invece i Romani attendevano naturalmente la comparsa di Vindemiatrix (ɛ Vergine).

Su levate e tramonti delle Pleiadi abbiamo poi un’innumerevole varietà di fonti provenienti dai più disparati popoli di tutto il pianeta. Su questo particolare argomento però non mi dilungherò qui poiché all’interno di questo stesso blog potete già trovare un articolo dedicato a questo singolare gruppetto di stelle (https://www.iraccontidelcielo.com/2024/01/26/le-pleiadi-e-j-k-rowling/).

Venendo – per concludere questa breve disamina degli antichi metodi di misurazione del tempo – ai Celti, si ritiene che i loro riferimenti stellari principali fossero Aldebaran e Antares, le due stelle brillanti rispettivamente appartenenti alla costellazione del Toro e a quella dello Scorpione. Questi due astri hanno la particolarità di trovarsi nell’eclittica a 180° di distanza e perciò dividono in due parti il percorso annuale apparente del Sole. La levata eliaca di Antares e Aldebaran durante l’Età del Ferro avveniva più o meno al principio di novembre e di maggio secondo il calendario giuliano, e corrispondeva perciò alle due feste principali dei Celti, ovvero Samhain (il capodanno celtico) e Beltane.

L’anno presso i Celti era diviso in due stagioni soltanto: il periodo invernale e quello estivo. Forse questa scelta fu fatta in funzione della natura fondamentalmente agricola della loro cultura e in ragione della zona geografica che essi occupavano. Essi celebravano tuttavia anche altre due feste molto importanti nel corso dell’anno, ma nemmeno queste (esattamente come già Samhain e Beltane) erano fissate in corrispondenza degli eventi astronomici dei solstizi o degli equinozi, bensì in momenti intermedi tra essi. Questo è uno dei motivi per cui si ritiene che fosse la levata eliaca di determinate stelle ad indicare il momento delle celebrazioni, piuttosto che la posizione del Sole. Queste ulteriori due festività si chiamavano Imbolc e Lughnasa, ed avvenivano probabilmente in prossimità della levata di Capella e di Sirio.

Oltre a questo sistema stellare per stabilire le festività principali dell’anno, anche i Celti utilizzavano un calendario di tipo lunisolare (detto di Coligny) che, come nel caso degli Egizi, presenta delle incongruenze non del tutto chiarite… ma questa è ancora una volta un’altra storia.

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